Comune di Monno
Il Comune
Piazza IV Novembre, 9
25040 – Monno
Tel. 0364/779400
Fax 0364/779214
info@comune.monno.bs.it
Sindaco: Roberto Trotti
Informazioni Generali
Abitanti: 587
Altitudine: 1060 m s.l.m.
Mercato: il giovedì
Festa patronale: il 29 giugno Festa dei Santi Pietro e Paolo
Ricorrenze e Manifestazioni
- Festa del Mortirolo: in luglio presso le ex caserme
- Raduno del Mortirolo: dal 1988 appuntamento di sci alpinismo organizzato dal Comune la prima domenica di marzo
- Sagra della Patata: cena tipica serale, su prenotazione, organizzata dal 2006 dalla locale Pro Loco Monno-Mortirolocena
Storia, Arte, Cultura
Il comune di Monno si formò in tempi molto antichi, lungo l’importante strada che da Edolo, passando dalla rupe di San Brizio, raggiungeva il passo del Mortirolo per scendere in Valtellina. La via Valeriana, costruita dopo il 16 a.C., era una delle più importanti strade di transito del periodo post-romano. Vi sorgeva infatti un antico ospizio per ospitare i mercanti e viandanti, accanto a cui i monaci di Cluny costruirono probabilmente la chiesa di San Brizio. Al Mortirolo secondo la leggenda si svolse nel 773 la battaglia (ricordata nella tragedia manzoniana) tra i Longobardi, guidati da Adelchi, e i Franchi di Carlo Magno. I Federici furono i feudatari del luogo; nel 1610 il Lezze rileva la natura selvaggia e boschiva del luogo, la presenza di due mulini, di una segheria e di un laghetto, dove si pescavano trote, e l’uso di molti abitanti di andare a Roma a fare l’acquaiolo o altri mestieri. Il ’600 fu il periodo più florido per i grossi traffici e i commerci sulla via Valeriana, unica strada d’accesso alla Valtellina. Ma agli inizi del ’700 il più accessibile Passo Aprica tolse a Monno questa centralità. Nel 1450, 1609, 1737 e 1843 quattro incendi devastarono il paese che venne sempre, con grande sacrifici, ricostruito. Durante il fascismo Monno fu amministrativamente aggregato al Comune di Incudine; recuperò l’autonomia nel 1947. Al passo del Mortirolo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si svolse una violenta battaglia contro le truppe nazi-fasciste, vinta dai partigiani.
Nel “Catastico”del 1610 di Giovanni da Lezze si legge che “gli abitanti di Monno parlano meglio, che in alcun’altro luogo di questa valle, perché molti vanno a Roma facendo l’aquarolo et altri essercitij”. Molti di loro, infatti, portati a Roma da papa Alessandro VIII, che aveva famigliari a Monno, impararono a commerciare, vendendo acqua fresca per le vie della capitale e quindi ad avere rapporti con tantissime persone. Gli abitanti di Monno hanno senza dubbio ereditato dai loro antenati capacità di comunicazione, squisito senso di ospitalità, originalità, ma nello stesso tempo mantengono ed esaltano le tradizioni antiche ed i mestieri di un tempo. Fra tutti si ricorda Germano dei “Galber” (gruppo folclorico che ormai da 20 anni porta nelle strade e nelle piazze della Valle danze, balli, serenate, racconti e scene di vita contadina), cantastorie, ricercatore di storia e tradizione locale, che mi ha mostrato ed insegnato tutto quanto riuscirò a raccontarvi del suo originalissimo paese.
Il territorio del comune di Monno si estende quasi completamente a Nord della “Linea del Tonale” o “Linea insubrica”, la lunga faglia che separa il sistema alpino vero e proprio da quello delle Alpi meridionali. E qui troviamo alcune montagne che fanno parte delle formazioni più antiche (oltre 170 milioni di anni), come il Monte Varàdega (m 2634), la Cima Cadì (m 2449), la Cima Verda (m 2409) e il Motto Pagano (m 2348), e altre appartenenti alla ben più recente era terziaria, coeve grosso modo del Gruppo dell’Adamello – Presanella (26-54 milioni di anni), come la Cima di Crom (m 2773). I passi della Foppa (m 1 852), del Mortirolo (m 1892) e di Varàdega (m 2296) mettono in comunicazione con la Valtellina. Il territorio è solcato dal torrente Ogliolo che riceve le acque del torrente Re, che attraversa il paese, del torrente Mortirolo e di alcuni altri, fra cui l’emissario del laghetto morenico del Mortirolo. La vegetazione è diversificata: nella parte bassa crescono prevalentemente latifoglie con alcuni castagni; salendo, gli ontani, le betulle, i frassini e i noccioli cedono gradualmente il posto alle conifere, abeti e larici, che si spingono fino circa a quota 2000, con pochi esemplari di pino cembro e alcune macchie di pino mugo. Molto varia la flora alpina presente, dai vivaci colori e dai profumi intensi, per non dire degli eleganti pennacchi bianchi dell’erioforo che alligna nelle zone paludose, dove cresce la straordinaria Drosera rotundifolia, piccolissima pianta carnivora. Molto ricca e abbondante la fauna alpina: marmotte, aquile, galli forcelli, pernici, lepri, camosci e in particolare cervi e caprioli. Tutto ciò è dovuto anche alla vasta zona dell’oasi protetta del Toricla ed al confinante Parco dello Stelvio.
Itinerari
Mortirolo – Resverde
Da Vedere:
La Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo: eretta nel luogo dove, fino al Quattrocento, esisteva una rocca. Le sue linee, abbastanza imponenti, sono di stile barocco. Del precedente edificio si conservano alcuni elementi riutilizzati nella costruzione del secentesco campanile realizzato in pietra e conci di granito con le celle a bifore. Il bel portale è in marmo chiaro di Vezza D’Oglio e reca la data 1629. L’interno dell’edificio è stato affrescato nel 1700 dal Corbellini, il presbiterio invece è stato dipinto, nel 1800 da Antonio Guadagnini. Di rilievo anche alcuni dipinti, come San Brizio e Madonna in gloria del 1655, firmata da Carlo Marni di Bormio e una Madonna con Bambino e Santi ad opera di Jacopo Negretti detto Palma il Giovane. Proveniente dalla chiesa dei Santi Sebastiano e Fabiano il paliotto dell’altare rivolto ai fedeli, attribuito a Giovan Battista Zotti. Proveniente invece dalla chiesa di San Brizio e conservato nella casa parrocchiale, Del Paglia e datato 1640, l’ex voto dei Quattro offerenti.
La Chiesa dei Santi Sebastiano e Fabiano: eretta nel 1700. Sorge nella parte più elevata del vecchio nucleo abitato. Posta all’imbocco della valle che sale al passo del Mortirolo. Nel cartiglio dell’ingresso principale si legge la 1781. In canonica è conservata una statua in legno, di stile nordico, raffigurante una Madonna col Bambino databile intorno al 1400. Il paliotto d’altare è in cuoio e datato nel 1600. I numerosi dipinti sono di Pietro Corbellini, autore anche degli affreschi della volta (Madonna col Bambino e Sante, Santi Rocco, Ignazio e Luigi Gonzaga, Martirio di San Sebastiano).
La Chiesa di San Brizio, la cui origine dovrebbe essere di epoca carolingia fu già ricostruita, sull’edificio preesistente nel 1480, come attesta una lapide. Per alcuni secoli fu la parrocchiale. Fu poi restaurata anche nel 1657, quando già da parrocchiale era diventata santuario votivo, meta molto frequentata di pellegrinaggi nel 1600 e nel secolo successivo. Poi cadde in abbandono. Semplice di costruzione, la stessa semplicità è anche espressa nelle linee della facciata che è ingentilita da tre finestre. Il campanile, in granito, ha la cella campanaria caratterizzata da archi. All’interno l’ampio loggiato è sostenuto da colonne. Bella la cancellata, del 1600, in ferro battuto che divide il presbiterio dalla navata. Collocabili verso la fine del 1700 alcuni affreschi. La bella e importante ancona dell’altare maggiore, opera della scuola di Giovan Battista Zotti, è stata svilita e impoverita dai continui furti che si sono succeduti dopo l’abbandono del tempio.
La Chiesetta di San Giacomo al Mortirolo, privata ma adibita ad uso pubblico, venne edificata nei primi decenni dell’Ottocento dalla famiglia Melotti. La sua storia è strettamente legata alle vicende della resistenza partigiana. In estate si celebra alcune volte la santa messa, tra cui il 25 Luglio di ogni anno in occasione della Festa dei Pastorelli. Nella chiesa teneva sovente le sue omelie in dialetto il compianto Mons. Giovanni Antonioli.
Artigianato locale
I famosi “Tapé”, i caratteristici tappeti artigianali monnesi, prodotti ancora artigianalmente, sono lavorati nelle “stüe” in inverno e realizzati su vecchi telai a mano con l’utilizzo di materiale di recupero.
Cucina tipica
Fra le ricette tipiche si segnalano gli gnocchi di patate crude, i casoncelli di magro e il dolce del carnevale, chiamato Fladarda.
Mappa del Comune: