Franciacorta vista da poeti e scrittori
La sensibilità di poeti e scrittori del passato ha trovato spesso ispirazione nell’atmosfera che da sempre avvolge la Franciacorta, che nell’Ottocento ha ospitato due importanti cenacoli culturali: quello di Tullio e Giulietta Dandolo ad Adro e quello di Paolina Torri Calegari a Nigoline.
Dalle pagine dei Ricordi di Tullio Dandolo (letterato e critico storico) emerge un paesaggio, quello franciacortino, dolce e modulato, una civiltà e un modo tranquillo di condurre la vita:
Traversata una gola tra dossi boscati, e campi su cui la vite ha distesa una rete di fronzuti festoni, ci affacciammo a vasto verdeggiante bacino. Vedete com’è ubertosa, popolata e gioconda la mia Franciacorta! Graziosi colli popolati di villaggi la circoscrivono per due terzi: nel suo grembo son ondulazioni di terreno, qua con cappelle e campanili, là con casolari e boschetti; ed oltre la zona azzurra del Sebino, maestoso è sulla opposta riva il prospetto del Guglielmo, le cui cime sono tuttavia ammantate di neve. (…) Ad ogni miglio un paesello; la pedestre peregrinazione èvvi interrotta ad ogni tratto da ospitaliere accoglienze … Qualchecosa d’intimo, di fratellevole giace diffuso per questo ridente bacino. (…) e coteste vie sono fiancheggiate, non da monotoni filari di pioppi, cui l’accumulata polvere tinse in cenerino, ma da siepi in fiore; che circondano e dividono poderi egregiamente coltivati, in mezzo ai quali son visti agricoltori accudire alacremente a lor bisogne.
La moglie Giulietta in una lettera del 1826 scrive: Son venuta ad Adro (…). Andai, subito giunta, in cima al ronco, e l’aspetto della gran pianura coverta di neve, delle piante nude, l’immagine, insomma, dell’inverno mi allegrò. Io in quel momento meravigliava come abbia potuto venire in mente agli uomini di chiudersi nelle città, che si potrebbero qualificare prigioni. Ancora oggi, nell’era post-industriale, la Franciacorta è un luogo ideale per la vacanza fuori porta, per staccarsi dalla quotidianità e dalla città per immergersi nel verde dei vigneti e rigenerarsi.
Angelo Fava, sacerdote e precettore di Enrico ed Emilio Dandolo, dedica quest’ode a Tullio Dandolo: (…) Volgiti a contemplar qual vaporoso velo s’innalzi oltre a quel varco. Il rosso fuoco che il sol cadente ancor confonde col cupo azzurreggiar del firmamento vien dalle cime dei tuoi colli. Il vento i profumi ne invia, di che van liete di Francia Corta le convalli. – Ahi! triste tu il guardo abbassi, e sotto alle rigonfie palpebre esce una lacrima! Ti scosse, Tullio, tal vista? (…)
Fuor de la grotta omai luce più pura, amico, or si diffonde; Ecco di vita men lieta sì, ma non certo men cara rianimarsi il lago. In sull’opposte sponde presso al confin, dove al Sebino porta di sue perenni acque tributo l’Oglio fecondator della pianura (…)
Tra gli ospiti illustri del cenacolo culturale di Paolina Torri Calegari vi è anche il Vescovo Bonomelli (1831 – 1914), che ama trascorrere le vacanze estive a Palazzo Torri di Nigoline. A lui è dedicata l’opera La Piccola Patria di Mons. Bonomelli: il Vescovo intimo scritta dal suo compagno di vacanze don Giovanni Varischi:
(…) Da una parte il lago d’Iseo azzurro e placido, sparso qua e là di piccole vele bianche o di veloci battelli fumanti, scintilla sotto il sole come un’immensa superficie di diamanti: di fronte e intorno si delineano i profili dei monti più alti e scendono le chine verdeggianti dei colli, chiassati a varie tinte da paeselli, ville e messi. E’ un anfiteatro tutto gaiezza e sorrisi. (…) Confusi coi trilli degli uccelli salgono dal verde della valle muggiti di mandre, belati di greggi, canti argentini di fanciulli. E’ Fogazzaro che rompe il silenzio, esclamando: – E’ magnifico: ho l’impressione di affacciarmi a un poggio della mia Valsolda!
E poco più oltre, ricordando che Cesare Cantù amava definire la Franciacorta come la “Brianza bresciana”, aggiunge:
(…) Non se ne adontino i buoni milanesi. A coloro cui è famigliare la Brianza parrà per lo meno esagerazione che la piccola regione a mezzodì del lago d’Iseo non le sia inferiore né per varietà di paesaggio, né per ricchezza di vedute, né per fertilità di terreno. Eppure io credo, che sia proprio così. Anche qui abbiamo una serie di colline irregolari nell’altezza, irregolari nella distribuzione, nella forma, negli elementi: ciò che attesta l’unità nel paesaggio morenico: anche qui una serie di poggi, di piani, di vallette: il vicino Mont’Orfano, da cui il principe Eugenio, generalissimo dell’esercito austriaco, ha scritto: Questo è il più bel punto d’Italia, non cede al celebre Montevecchia, come non è inferiore al Baro ed al S. Genesio, il colle di Adro, segnato su alcune carte il colle Alto, alle cui pendici si asside graziosamente Nigoline. Sì: anche qui sono i pacifici villaggi, che siedono al piede dei colli, modestamente nascosti tra gli alberi, o sorgenti a guisa di castelli sopra poggi e sui piani elevati; come non mancano le industriose borgate e i ruderi dei manieri, che vantano un glorioso passato. E dappertutto un labirinto di vie interseca campagne ubertose e rigogliosi vigneti e radure di quercie e dense foreste. Come flora fauna e orografia, vi sono uguali l’altezza media sul livello del mare e per conseguenza il clima dolce, uniforme, salubre alla vita vegetativa ed animale. (…)
Quanto ad Antonio Fogazzaro (1842 – 1911), il romanziere è ospite abituale dai Dandolo e dai Torri; la sua firma appare anche nell’album che Giacomo Ragnoli, “il galantuomo della Mille Miglia”, esibiva agli amici nell’antica dimora di Colombaro di Corte Franca. Fogazzaro ha onorato la Franciacorta da gaudente. Ci sostava volentieri, poi ripartiva in carrozza, per salire in Valsabbia dove andava a deliziarsi il palato con lo spiedo, piatto tradizionale bresciano per eccellenza. Anche il buongustaio Giosuè Carducci (1835 – 1907), frequentatore del salotto di Paolina Torri Calegari, amava fermarsi in Franciacorta per sostare in compagnia e assaporare i piatti del luogo.
Nel corso dei secoli molti sono stati coloro che sono passati in Franciacorta e che ne hanno sentito il fascino, ne hanno colto più d’un emozione e ne hanno tracciato una testimonianza.
Nell’epoca del Grand Tour, sulla strada tra Brescia e Bergamo, la Franciacorta si spalanca agli occhi di Mr Thomas Coryate (1577 – 1617), visitatore d’oltremanica capace di ficcare il naso dappertutto e di mettere assieme la prima guida turistica inglese del Continente. Siamo nel 1608 e il suo resoconto di viaggio si intitola Crudezze (perché non ebbe il tempo di ripulirlo) e rimarca come sia contento di potersi fermare a piluccare liberamente tra un vigneto e l’altro:
(…) Ci sono trenta miglia tra queste due città. Per via osservai un gran numero di grossi vigneti, che in quella stagione davano dell’uva matura, molto bella e dolce. Spesso mi prendevo una licenza dalla legge per entrare nelle vigne e ristorarmi con un po’ d’uva; e gl’italiani chiudevano un occhio, da quella brava gente che sono. (…) La maggior parte della strada tra queste due città è più piacevole di ogni altra da me percorsa in Italia; è infatti molto piana e regolare; una strada spaziosa, fiancheggiata su tutti e due i lati da bei vigneti, e lunga circa diciotto miglia.
E’ Lady Mary Wortley Montagu la prima delle signore che diventarono le migliori operatrici turistiche della Franciacorta e del lago d’Iseo. Lady Montagu visse a Lovere sul lago d’Iseo dal 1746 al 1759 e scrisse alla figlia:
(…) tutto il bel lago d’Iseo è diverso affatto da quelli che ho visitato finora, per l’originalità curiosa ed attraente de’ suoi dettagli. Lungo quasi quindici miglia sovra tre di larghezza, è circondato da alture imponenti, spesso inaccessibili, le cui falde estreme sono coperte da tanti paesetti, da tante modeste villette abitate da persone civili del luogo, che non si scorre un miglio senza incontrarne parecchie, il che aggiunge molto alla bellezza del paesaggio(…) Il pesce di questo lago è tanto bello e squisito quanto lo è quello di Genova, e le montagne abbondano di selvaggina con esemplari non conosciuti in altre parti d’Italia.
Ancora oggi la gastronomia della Franciacorta è tutta giocata tra due poli: la cucina contadina di carni dell’entroterra e quella di pesce del lago d’Iseo. I due piatti tipici sono: il Manzo all’olio di Rovato, ottimo accompagnato con un Franciacorta Rosé, e la Tinca al forno di Clusane, che si sposa bene con un Franciacorta Extra Brut. Accanto alle carni di allevamento troviamo la cacciagione, gli uccellini soprattutto che vengono serviti secondo un’altra preparazione tradizionale bresciana, lo spiedo. Sul lago d’Iseo, e a Montisola soprattutto, vi è poi una grande varietà di pesci (sardine, cavedani, agoni, aole) essiccati al sole per una decina di giorni, messi sott’olio per qualche mese e poi cotti velocemente sulla brace. Rinomato è anche il salame di Montisola, ha una grana grossa perché tagliato a mano e viene stagionato nelle cantine dove riposano i vini.
L’altra viaggiatrice che arrivò sul Sebino (nome latino del lago d’Iseo) nel 1834 con il suo amante, il giovane scrittore Alfred de Musset è la francese George Sand, pseudonimo di Amandine Lucie Aurore Dupin. Tredici anni dopo decise di ambientarvi il romanzo che recitava la fine della sua storia d’amore con Chopin (che in quel periodo era intento all’ultima delle sue grandi composizioni, la Sonata in sol minore per pianoforte e violoncello op. 65). Il suo romanzo Lucrezia Floriani, infatti, si svolge interamente sul lago d’Iseo e venne iniziato nel giugno del 1847, quando ormai la sua relazione lunga e tormentata con Chopin volgeva alla fine. Lucrezia Floriani si ritiene generalmente uno fra i capolavori del romanzo psicologico. Le vicende narrano e analizzano i sentimenti del Principe Karol di Roswald e di Lucrezia, figlia di un pescatore che da ragazzina intrecciava reti e poi divenne un’attrice famosa. Sullo sfondo il paesaggio, i personaggi di contorno, il clima, i villaggi di pescatori sono quelli del lago d’Iseo. Chopin leggeva a puntate il romanzo che parlava di lui senza accorgersi che George Sand aveva ormai scritto la storia del loro amore, pur non essendo giunto al suo compimento. Il romanzo, com’è comprensibile, sollevò scalpore e scandalo. Heine scrisse a tale proposito: “Questa emancipatrice, o piuttosto emancipatrice del suo sesso, ha atrocemente maltrattato il mio amico Chopin in un odioso romanzo divinamente scritto”. Descrizioni del lago d’Iseo ricorrono frequentemente nel romanzo, insieme ai colori e ai profumi (anche delle vigne) dei dintorni.
C’era una festa nei dintorni. Carri tirati da piccoli cavalli magri e vigorosi riconducevano a casa le ragazze agghindate a festa, pettinate come statue antiche, il nodo infilato da lunghi spilli d’argento e fiori naturali tra i capelli. Gli uomini venivano a cavallo, sull’asino o a piedi. La strada era occupata per intero da questa gente allegra, dalle ragazze trionfanti, dagli uomini un po’ eccitati dal vino e dall’amore, che scambiavano con le signorine sorrisi e proposte facete, troppo facete per le caste orecchie del principe Karol. (…) Il piccolo lago d’Iseo non ha nulla di grandioso nell’aspetto e i suoi dintorni sono dolci e freschi come un’egloga di Virgilio. Tra le montagne che formano il suo orizzonte e le crespe molli e lente, che la brezza traccia sulle rive, c’è un’area di prati incantevoli, letteralmente smaltati dai più bei fiori campestri che produce la Lombardia. Tappeti di zafferano di un rosa puro ricoprono le rive, dove la burrasca non spinge mai rovinosamente le onde furiose. Leggere imbarcazioni rustiche scivolano sulle placide onde, sulle quali si sfogliano i fiori del pesco e del mandorlo. (…) La passeggiata fu piacevole. Il lago era superbo nei riflessi del tramonto. I ragazzi si erano calmati e prendevano seriamente gusto a vedere il nonno che tendeva le reti in un’ansa fiorita e profumata. (…) La Floriani raccolse ninfee gialle. Saltando da una barca all’altra con leggerezza e un’abilità che non ci si poteva aspettare da una persona un poco pesante in apparenza, ma che ricordavano le sue abitudini giovanili, ornò con questi bei fiori le teste delle figliolette. (…) La brezza della sera si levava leggera e carezzevole portando il profumo delle vigne in fiore e delle fave dall’odor di vaniglia.
I volumi che il francese Gabriel Faure (1877 – 1962) scrisse sui luoghi che visitò in Italia, in qualità di Ispettore Generale delle Belle Arti di Francia, possono essere inseriti in quel filone letterario dedicato al Grand Tour, ma nelle riedizioni anticipano le moderne guide turistiche, ricchi come sono di illustrazioni fotografiche. Nel volume Aux Lacs Italiens (1913) Faure inserisce il capitolo Le lac d’Iseo interamente dedicato al Sebino, dove percorre tutte le località rivierasche e dei dintorni descrivendo paesaggi e citando i monumenti di interesse storico-artistico.
Come l’attrattiva di Venezia fa trascurare le città che si snocciolano sulla strada da Milano all’Adriatico, così l’attrattiva dei grandi laghi italiani fa dimenticare il delizioso lago d’Iseo che è una sorta di piccolo riassunto di tutti gli altri. (…) Sotto l’ardente limpidezza del pieno abbagliante mezzogiorno, l’acqua stende le sue onde armoniose come una morbida stoffa di seta, brillante e ornata di lustrini. Viti corrono di tralcio in tralcio, cariche di grappoli dagli acini dorati. Alcuni giardini si stendono mollemente tra la strada ed il lago. Sulle collinette, prima alcuni ulivi, poi, facendo risaltare il loro grigio opaco, dei lecci verdi e dei castagni. Sul fondo, le alte montagne si disegnano esattamente sul cielo d’un azzurro così intenso che ha riflessi di metallo e ricorda quegli azzurri che i primitivi dipingevano dietro la testa delle loro madonne. Più lontano ancora, una linea bianca indica la cresta dei ghiacciai.