Altipiano di Ossimo e Borno
All’altezza di Cividate Camuno e Malegno si diparte una strada che con ampi tornanti in pochi minuti conduce all’altipiano che ospita i comuni Ossimo e Borno. L’area si presta particolarmente al soggiorno estivo e invernale, grazie agli impianti del Monte Altissimo presso Borno stesso, ma riveste anche un grande interesse culturale.
La conformazione naturale è quella di una grande conca, chiusa a semicerchio da una lunga catena montuosa da un lato e aperta verso la Vallecamonica dall’altro. Molte le escursioni possibili, dalla semplice passeggiata nelle folte pinete che circondano i paesi alle camminate più o meno impegnative, fra cui quella verso il lago di Lova, oppure verso il rifugio di San Fermo, che secondo la leggenda era il fratello del Glisente. Da segnalare la fiaccolata che viene organizzata ogni anno in agosto a partire dal rifugio con arrivo a Borno, bella da vivere direttamente, ma anche da guardare dal paese, osservando una lunga lingua di fuoco muoversi sul fianco nero della montagna. Riveste un grande valore naturalistico la conoscenza della Riserva dei boschi di Giovetto, con ingresso a Paline di Borno, innanzitutto per la bellezza e la varietà della vegetazione: abete rosso e bianco, faggio, frassino maggiore, acero montano, muschi e felci nel sottobosco, mentre dai 1500 metri si incontrano macchie di rododendri e mirtilli. La riserva è famosa tuttavia per la presenza della formica rufa, preziosa perche’ si ciba degli insetti che sono dannosi per le conifere ed abile costruttrice di nidi di grandi dimensioni. Un’ulteriore possibilità è data, partendo da Ossimo inferiore, dalla gita alle aree archeologiche di Pàt e di Anvòia, dove si può conoscere l’arte rupestre della Val Camonica attraverso percorsi immersi nel bosco e attrezzati per la visita.
Si tratta di aree limitrofe, frequentate dagli antichi abitanti della Vallecamonica durante l’età del Rame (3000 a.C.) a scopo cerimoniale. In questi luoghi sono stati rinvenuti numerosi massi incisi, statue-menhir o stele originariamente allineati per diversi metri, e prove dell’effettuazione di riti (resti di vasi, di cui alcuni depositi ai piedi delle stele, coloritura delle figure incise sulle pietre, ecc). In particolare ad Anvòia per la prima volta si sono potuti studiare nella loro posizione originaria i monoliti figurati che contribuiscono a caratterizzare questi “santuari” alpini dell’ Età del Rame. Grandi e piccoli, incisi e colorati, ovvero talvolta senza figure, questi monoliti hanno via via confermato di possedere un profondo significato simbolico e mitologico, verosimilmente in seno a una ideologia degli antenati di ciascun gruppo di parentela. A tale interpretazione concorre in modo fondamentale la documentazione di scavo, in primo luogo le migliaia di oggetti e residui lasciati sul sito durante le visite e le cerimonie. Fino all’ultima campagna di scavo, e contrariamente a taluni preconcetti, Anvòia ha rivelato che i monoliti non erano i soli protagonisti simbolici di questi siti. Le attività rituali comportavano la creazione di altre strutture non meno significative, cioè di altri monumenti, nel senso etimologico della parola: elementi atti a segnalare e a ricordare, a insegnare e a celebrare. Ad Anvòia, in aggiunta al gruppo di monoliti, si notano per esempio un cairn, cioè una bassa piattaforma di pietre scelte, portante un monolito e fiancheggiata da altre strutture(F2A); un accumulo naturale di pietrame grigio, preso in considerazione dall’uomo che vi vide forse una sorta di tumulo (F15); e la grande buca conica (F18), in cui fu piantato un piccolo menhir e fu usato il fuoco. Chiazze di scheggiame raccontano come, specialmente nella seconda parte della vita del sito, certi monoliti siano andati soggetti a radicale rinnovamento, ben al di là del semplice rifacimento delle figure. Un’altra delle attività rituali dominanti era la deposizione di vasi, di pietre naturali dalle forme suggestive, di oggetti scheggiati o spezzati.
Nel sito, soprattutto alla base del cairn, furono introdotti resti scheletrici umani. Si tratta di resti prelevati da siti funerari posti altrove, ancora ignoti, e rideposti ad Anvòia con l’accompagnamento del fuoco. Una scoperta rivelatrice e per ora unica, che va d’accordo con la spiegazione dei monoliti come effigi di antenati, collegate alla identità e all’organizzazione del gruppo. Inoltre, il cairn e altri elementi di Anvòia indicano che i “santuari” del genere erano scelti in relazione al paesaggio e riflettevano un acuto senso del luogo. Il parco ambisce a fornire una prima illustrazione sia del sito, sia e soprattutto di questo straordinario capitolo del remoto passato europeo, società e mentalità anzitutto. Sul sito, reinterrato, i visitatori possono ammirare calchi dei monoliti e indicazioni delle altre strutture.