Prodotti e Gastronomia a Monteisola
A Peschiera e a Carzano continua da secoli una tradizione culinaria molto interessante caratterizzata dall’ antica tecnica di essicazione e conservazione del pesce.
I piccoli paesetti di Cure, Masse, Olzano e Senzano lasciano invece la tradizione legata alla pesca e alla lavorazione del pesce in favore della produzione di salumi. Ogni famiglia, da sempre, tra gennaio e febbraio uccide il maiale allevato o comprato per preparare in casa il salame. Anche gli emigrati e i nativi ormai residenti altrove non rinunciano a questo appuntamento invernale.
IL PESCE SOTT’OLIO
L’essiccazione e la conservazione del pesce. I pesci essiccati al sole e conservati sott’olio sono la sardina, il cavedano e il pesce persico. La tecnica è questa: il pesce appena pescato viene pulito con un solo taglio sotto la testa, se è una sardina; aperto e senza testa, se si tratta del cavedano. Lavato ed asciugato, si stende per 24 ore sotto sale, in quantità proporzionato al peso del pesce. Poi, tolto dal sale e rilavato, il pesce viene appeso a gancetti fissati su un’apposita intelaiatura in file parallele fino a riempire tutto lo schema delle file predisposte per l’essiccazione. Non mancano alcuni pescatori che rispettano totalmente la tradizione e infilano il pesce nei fili tesi sugli “archetti” (rami di frassino o carpino piegati ad arco e tenuti in posizione da un filo all’estremità). Sul lungo lago tra Peschiera e Sensole si possono osservare ancora numerosi archi come questi. Il pesce viene esposto al sole 5 o 10 giorni, secondo il clima più o meno caldo. Quando l’essiccazione è al punto giusto, viene stivato con arte in contenitori di ferro, pressato e separato dall’aria da uno strato d’olio. Dopo qualche mese di maturazione, le sardine diventano quasi color oro e i cavedani di rosa aragosta: si possono mangiare cotti qualche minuto sulla brace ardente, condito con olio, prezzemolo, aglio e serviti con polenta. E’ un piatto dal sapore intenso e particolare, che secondo la tradizione orale risale a circa un millennio fa, quando i pescatori della “piscaria dell’insulae curtis” dovevano – secondo un obbligo preciso – consegnare un determinato numero di sardine essiccate al monastero di S. Giulia di Brescia. Questo pesce, tenuto pressato sott’olio, dura anche un anno: per questo è sempre stato il piatto dei poveri, una geniale invenzione dei pescatori che solo in determinati periodi pescavano grandi quantità di pesce e dovevano, quindi, poterlo conservare senza frigorifero.
IL SALAME DI MONTISOLA
nelle case di Cure, Masse e Senzano che pochi “esperti” organizzano la lunga e paziente lavorazione del salame nostrano, con scrupoloso rispetto del rituale tramandato da innumerevoli generazioni e che nessuno vuole modificare. Confezionare i salami ottenuti da un maiale occupa per una giornata almeno 4 persone, ognuna con un compito specifico: tagliare la carne tutta a mano a pezzi abbastanza grossi (poiché sono severamente banditi gli utensili elettrici per tritarla), mescolare l’impasto, insaccare, legare. Il rituale prescriveva il divieto della donna mestruata di accedere a tale operazioni; era d’obbligo che la luna fosse calante; chi non poteva aspettare, procedeva con luna crescente ma di venerdì. Nella seconda fase (l’affumicatura), il salame viene appeso in una stanza apposita, la “cà del salam”: una cantina antica con muri di pietra non intonacati, soffitto a volte, un fuoco in cui si deve continuamente bruciare legna secca per mantenere una temperatura costante. Il camino deve essere chiuso, in modo da far diffondere nella stanza il fumo, che oltre ad affumicare, mantiene, soprattutto di notte, una temperatura tiepida. Sono poche, su tutta l’isola, le stanze dotate delle caratteristiche necessarie; bisogna fare i conti con quelle che ci sono e quindi prenotarsi, così che di solito in una stanza viene appeso il salame di quattro o cinque maiali. Il salame appena fatto si lascia appeso per trenta giorni; poi lo si può mangiare o appendere nelle normali cantine o mettere nelle anfore di terracotta (òle, anticamente di pietra) sotto grasso. Anche per questa procedura, c’è un’antica “ricetta”. Gli emigranti montisolani insistono nell’affermare che lo stesso procedimento fuori dall’Isola non dà gli stessi risultati: è questo il motivo che li porta, nei mesi di gennaio e febbraio, per le strade delle loro frazioni, soddisfatti e con le ceste ricolme di salami.
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